martedì 2 dicembre 2008

la classe non è acqua

ho una classe bellissima, variamente agitata da impulsi tra l'interesse per l'universo mondo e la guerra aperta per l'ingiustiza, che è ingiustizia e basta, senza possibilità di appello.
chiedono, contestano, vogliono sapere, difficilmente si convincono, ma se ti credono ti seguono fino in fondo, con abnegazione, con lealtà cavalleresca e stima addirittura immeritata.
ma se ti odiano sei finito.
imparano e praticano l'ironia e a volte pure la cattiveria, lo sdegno e la rabbia, il dubbio e l'interrogarsi sempre, non mancano mai di chiedere perché, ed il perché deve essere convincente, acuto, inappellabile.
il mondo è bianco o nero, al centro del mondo ci sono loro. litigano, si stuzzicano, si azzuffano, ma se gli dai una meta, un obiettivo, una ragione marciano con la compattezza della testuggine.
me li vogliono soffocare. zitti, buoni, senza troppe domande, solo risposte e quelle preconfezionate, niente al di là del libro, vietato contestare, vietato andare troppo velocemente o troppo piano.
impedirò che diventino grigi. mi piace il loro bianco e il loro nero, la risolutezza e l'assolutezza.
mi diverto troppo, così. non voglio entrare in classe ed annoiarmi nel silenzio.

lunedì 3 novembre 2008

candido in galilea

non conoscevo edoardo mendoza, che invece è uno dei più apprezzati scrittori spagnoli ed incontrarlo è stato davvero un piacere. ho letto il suo romazo in due mezze nottate nelle quali ho ritrovato il gusto di fare le ore piccole sulle pagine di un libro e di ridere da sola a folgoranti, sottili battute a volte un po' nascoste nel testo. è una storia leggera eppure colto, ironica ma sublime, antica e contemporanea, con una scrittura che gioca con il mimetismo lingusitico e fa parlare il servo greco dai dubbi costumi come il socrate di platone, ma più aulico, il sommo sacerdote come la bibbia ma più cinico, gesù bambino come un personaggio di dikens, i centurioni romani come il soldato fanfarone di plauto, il protagonista, sedicente filosofo, come un seneca un po' sfortunato.
in questa girandola di personaggi l'autore incunea letteratura, storia, religione e cinema, fa apparire ben hur, biondo, bello e pieno di se come un attore di hollywood in mezzo a tito e dimaco, ai funzionari romani, a barabba giovane scaperstrato di cui si intuisce la sorte.
fulminante l'incipit, da epistola familiare di cicerone ma di argomento decisamente materiale:
che gli dei ti guardino da questa piaga, fabio, perché fra tutte le maniere di purificare il corpo che il fato ci manda, la diarrea è la più tenace e assidua.
su tutto, l'impagabile diletto nel decifrare le coltissime allusioni del testo ed il piacere nell'avvicinarsi al lettore ideale.

sabato 1 novembre 2008

il ripensamento sugli anni e sull'età

camilleri è un a-parte nelle mie scelte letterarie. ho scoperto la forza e la sublimità di questo linguaggio immaginifico e sonoro in ritardo sui tempi, per il mio volere a tutti costi essere fuori e contro. il fenomeno - montalbano era già esploso da un pezzo, e io mi ero ben guardata anche solo di vedere di cosa si trattasse... troppi entusiastici adepti.
poi ho comprato, in uno di quei giorni di emergenza - lettura, niente da leggere e una libreria poco fornita a portata di mano, la voce del violino. da lì ho seguito ed aggiornato le sorti di questo personaggio che davvero vive un po' al di fuori dall'autore e lo conduce, a volte, verso insospettati esiti.
devo a montalbano la scoperta di camilleri: i romanzi che lui chiama civili sono piccoli spettacoli da leggere.
ora c'è questo nuovo, l'età del dubbio, col solito titolo strutturato nominativo - genitivo che è una cifra stilistica da cui camilleri raramente si discosta e sul quale, forse, scriverò: significa qualcosa ma non ho ben capito ancora cosa.
comunque ultimamente riflettiamo sul tempo e sulla vecchiaia, come al solito al risveglio da sogni inquieti, nel consueto incipit kafkiano a cui siamo abituati.
ogni romanzo è una nuova giornata, una piccola parte della vita di un altro in cui entrare per fare più grande la mia vita.

Andrea Camilleri
L'età del dubbio

Sellerio editore

ottobre 2008

265 pagine

ISBN 8838923337

disinformazione

la nuova parola è disinformazione. i padroni dell'editoria e della tv la usano come un bastone contro quelli che la pensano diversamente.
disinformazione, altra parola derivata (deverbale prefissato, credo), ibrida, spuria, che offende ed umilia chi la subisce, trattato da demente incapace di libero arbitrio.
disinformazione per dire verità.

giovedì 30 ottobre 2008

le parole sono pietre

usano la comunicazione, ultimo rifugio dei vigliacchi che hanno bisogno di nascondere dietro le parole il loro ben architettato progetto di restaurazione del fascismo, anzi, del feudalesimo.
in una sintesi perfetta tra mc luhan, il mezzo è il messaggio, e i gesuiti, repetita iuvant, sono stati capaci di ridurre ai minimi termini anche il caro vecchio slogan pubblicitario, e sfornano parole, singole parole a cicli continui, una parola per volta gonfiata di significati stravolti come un cadavere di annegato, ripetuta da tutti i grisi del padrone, da tutte le televisioni, in ogni pubblico consesso di mediocri colti o di ignoranti mediocri, su ogni pagina di cosiddetto giornale. fino a che il pubblico di riferimento, i dodicenni poco svegli che si figurano loro, non l'abbia imparata a memoria, per rivomitarla a proposito o a sproposito, amplificandola fino all'ultima bocciofila, all'ultimo bar sport, all'ultimo discodinnerhappyhourpub. come le pecore di orwell.
(comunque, per inciso, i dodicenni non sono scemi come il loro pubblico di riferimento, che si avvicina di più, come spessore intellettuale, agli utenti dei teletubbies)
la parola di adesso è strumentalizzare. declinato e coniugato in ogni aspetto morfologico possibile, compare come uno spot tra le righe di ogni discorso, per delegittimare la scelta, l'opinione, il diritto di chi protesta a nome suo, dei suoi compagni, del suo partito, o di chiunque altro al mondo.
strumentalizzati: padre perdona loro, non sanno ciò che fanno...
e questa parola cade col peso di una pietra sulla defunta civiltà di un ex-paese.
risponderemo alle pietre con i sampietrini?

martedì 14 ottobre 2008

essenziale

forse sarei anche capace di inserire nel mio blog tutte quelle carinerie tipo contatori, mappe, rilevatori di utenti che ti odiano, amano, detestano, considerano il nuovo messia, ignorano la tua esistenza, è che non ho voglia. già riempire il blogroll mi pare una inutile perdita di tempo, e aggiungo un contatto di tanto intanto, quando non mi fa troppa fatica fare il copiaincolla dell'url.
che poi, questa del blog, è una delle tante forme contemporanee di masturbazione, ma di quelle che alla fine neanche ti fanno godere più di tanto.

lunedì 13 ottobre 2008

giustifico

qualche volta giustifico i post. nel senso dei margini del testo. quando mi ricordo, in genere, ma forse sono giorni in cui ho pericolose cadute verso l'ordine costituito.
il casino che mi circonda e mi invade in ogni caso mi consola.

la classe

l'ho letto tra stanotte e stamattina con un po' di perplessità che ancora non mi è passata. bella la tecnica narrativa, molto francese, oulipo, queneau e tutti gli ammennicoli di cambiamento del punto di vista, della prospettiva, ripetizione quasi mantrica di frasi, comportamenti, commenti.
uno sfondo indistinto nel quale si intuiscono tre luoghi: il bar, la sala docenti, la classe, appunto, personaggi altrettanto indistinti, appena connotati da piccole manie stereotipate, i nomi non ci dicono nulla.
molta routine. lui è una via di mezzo tra un aspirante bogart con problemi di insonnia e uno scrittore francese. ah, già, è davvero uno scrittore francese.
l'ambientazione è però quella di certi film americani: the principal, una classe violenta e puttanate retoriche similari. il bistrot sembra starbuck o come diavolo si chiama quel posto dove vendono il surrogato di caffè a taniche di polistirolo espanso dal mezzo litro in su.
la genialità: un personaggio ectoplasmatico senza volto, che sputa sentenze tipo la sibilla cumana... interessante, ma non risolto. il libro finisce e del fantasma non si sa cosa sia successo e soprattutto, perché fosse lì. Sì, ok, la voce della coscienza, ma volevo far finta che non fosse così banale.
comunque non ho ancora deciso se mi è piaciuto. più no. per ora.
e soprattutto 16 euri sono troppi.


Francois Bégaudeau
La classe
(Entre le meurs)
traduzione di
Tiziana Lo Porto, Lorenza Pieri
Einaudi
pp. 228
2008
ISBN 8806196316

lunedì 29 settembre 2008

kovalski è la via paolo fabbri dei gang

le canzoni manifesto sono quelle in cui gli artisti se ne fregano di farsi capire, ma che gli ascoltatori decifrano, alla caccia di riferimenti e citazioni, con sommo gusto e una malata soddisfazione nell'esegesi riuscita e nello scioglimento di un indizio.
sono le mie canzoni preferite.

giovedì 25 settembre 2008

c'è carofiglio e carofiglio

non ho niente da leggere e niente che mi venga voglia di comprare, quando vado in libreria. vagando su ibs ho incontrato questo fratellesco"l'estate del cane nero", corredato da tre pagine di commenti esaltanti.
tutto ciò mi insospettisce: come quando vado al cinema e la sala si riempie (alcuni hanno il pop corn) così sono sicura che il film sarà una boiata. perché lo millanto con tanta sicurezza??

a vedere into the wild eravamo in 8 (2 = io + massimo)
a vedere le invasioni barbariche in 5 (2= io + massimo)
a vedere gomorra in 7 forse 8 (1 = io, massimo era al lavoro)
...
potrei continuare.
la prova?
l'ultimo film per il quale ho dovuto fare la fila alla biglietteria e sedermi in un posto di merda per sovraffollamento subumano (a parte shrek I, II e III) è stato un film di pieraccioni. non so quale, ma non mi sembra importante.
quindi, la faccenda del fratello di carofiglio quello bravo (anche figo, mi pare).
tornerò in libreria a leggermi l'incipit, se davvero è così standbyme forse lo compro davvero, poi scriverò un post in cui mi lamento perchè va bene l'adolescenza, il mistero, il romanzodiformazione, ma tutti questi wannabe stephen king che palle.
poi ci sarebbe l'opera prima di muriel barbery. il riccio era davvero interessante, ma non ho troppa voglia di atmosfere minimaliste cupe e francesi. per sopportare psicologicamente il minimalismo ho bisogno dell'affilatezza di razor leavitt o almeno di guido gozzano. i francesi si intabarrano di queste buone cose di pessimo gusto facendo gli snob del cazzo, ma senza un minimo di sana autoironia.
insomma, mio fratello è figlio unico perché non ha mai criticato un film prima di averlo visto, mentre io recensisco i libri che non ho ancora letto.
il repertorio ragionato dei libri che non leggerò.

Muriel Barbery
Estasi culinarie
(Une gourmandise)
Traduzione Emmanuelle Caillat,Cinzia Poli.
pp. 145
2008
ISBN
88764183963

Francesco Carofiglio
L'estate del cane nero
pp. 172
2008
ISBN
9788831794176

domenica 10 agosto 2008

breve storia di una piccola città


il fatto che un libro di cinquecento e passa pagine si intitoli "breve storia" me lo fa già entrare in simpatia. t.r. pearson, ex professore di inglese, si inventa una voce narrante la cui mise en abyme è presente fin dalla prima riga, ma si disvela solo nell'ultimo capitolo. una voce corale anche se incarnata in una ragazzino di 12 anni, che cita i grandi per prendere la distanza da certe splendide cattiverie attraverso cui disegna i personaggi di questa piccola città, bastardo posto. tutto e tutti ruotano attorno alla storia di una strana famiglia, il racconto prende l'avvio dalla morte spettacolare dell'ultima erede, una zitella ricca e svitata che convivecon una domestica nera quasi afona ed una scimmia troppo umana, quindi si dipana, tra analessi e prolessi, con una serie di storie a schidionata, fino a racchiudere tutta la varia umanità del bizzarro paese, ove la normalità non esiste, ma ciò sembra a tutti estremamente normale.
la perla: le sentenze del padre, attraverso cui l'autore si concede piccole cattiverie antiborghesi
l'appunto: il bambino fa troppo spesso il verso al vecchio holden caulfield... c'è addirittura uno stagno con le anatre, anche se non siamo a central park.

Thomas Reid Pearson
Breve storia di una piccola città
(A Short History of a Small Place)

Traduzione Franca Pece
pp. 552
Giugno 2008
ISBN 9788861920354

il matematico indiano

l'incipit mi aveva ingannato: una storia vera, personaggi realmente esistiti, pensavo che leavitt avesse deciso di cimentarsi di nuovo nel romanzo storico, tipo "mentre l'inghilterra dorme"... con gli stessi esiti, temevo.
però sono andata avanti, per devozione, credo.
il libro è bellissimo, non riesco, nonostante le note finali, a capire quanto il romanzo prevarichi la biografia, ma il ritmo della narrazione, la suspence che nonostante la fine nota riesce a tenere, la caratterizzazione sublime e nello stesso tempo estremamente terrena dei personaggi rende "il matematico indiano" un libro maturo. mi ricordo il primo leavitt, il ragazzo di "ballo di famiglia", l'aspra semplicità di certe immagini indimenticabili, e mi accorgo di quanto si sia evoluto, di come abbia aggiornato la tecnica del racconto lungo fino ad approdare ad un romanzo senza sbavature, che nonostante sia biografico, nonostante la matematica io ho letto d'un fiato.
superba la connotazione della sorella di hardy, compressa, tetragona, acuta e infinitamente triste.
la perla: la piana, saggia, inevitabile malinconia, cifra d'autore da "la lingua perduta delle gru" alle storie di "un posto dove non sono mai stato".
l'appunto: perchè si autoconfina nella cosiddetta "letteratura gay"?

David Leavitt
Il matematico indiano
(The indian clerk)

Traduzione Delfina Vezzoli
pp. 593
Giugno 2008
ISBN
9788804580034